Luigi De Paoli ci ha trasmesso l'articolo dell'islamista francese
Oliver Roy, che invita a distinguere tra 'islamici' e 'Supereroi del male' (Isis).
Ma non accostate Islam e fascismo. Sono delinquenti senza ideologie
di Oliver Roy
«Un concetto che aggiunge confusione e non ci permette di capire quello che sta accadendo». A Olivier Roy il termine 'islamo-fascismo', utilizzato qualche giorno fa da Manuel Valls, non piace. L'espressione, spesso citata da esponenti di destra, è stata adottata a sorpresa dal premier socialista per parlare della lotta contro le derive fondamentaliste. «È un termine vuoto, che serve per attirare l'attenzione dei media, ma non contiene nessuna analisi politica», spiega lo specialista francese d'Islam, professore all'Istituto universitario europeo di Firenze e autore del saggio su nuove religioni e fondamentalismi moderni Santa Ignoranza e di un dialogo sull'Oriente uscito di recente in Francia, En quête de l'Orient perdu.
Il paragone storico con il fascismo è fuorviante?
«Valls dovrebbe riuscire a dimostrare che c'è un legame tra Al Baghdadi e Mussolini. Mi pare difficile. Siamo seri, dobbiamo cercare di essere per quanto possibile rigorosi nelle definizioni. Il fascismo voleva costruire uno Stato, delle istituzioni, aveva una visione della società, per quanto discutibile, c'era un culto del Capo, un forte nazionalismo, un concetto di razza. Tutte cose che mancano all'Is. Mi disturba anche l'accostamento tra fascismo e Islam».
Perché?
«Nell'Islam politico non ci sono soltanto tendenze radicali. Ci sono certo partiti e gruppi conservatori, ma ancorati alla legalità, alle istituzioni. Anche in Europa i cosiddetti terroristi islamici sono spesso delinquenti, marginali; non hanno davvero una connessione profonda con l'Islam».
Non è corretto evocare una forma di totalitarismo religioso?
«L'Is non è un totalitarismo. È una dittatura locale e militare. Nel senso religioso non ha ideologia e si avvicina più che altro a una setta. Gli unici che hanno fatto dell'estremismo religioso una vera e propria ideologia sono i Fratelli Musulmani, che sono rivali dell'Is. Valls sbaglia non solo sull'ideologia, ma anche sui gruppi indicati con questo termine».
Il governo francese si rifiuta di parlare di Stato islamico e usa il termine arabo Daesh. È giusto?
«È un approccio intelligente. Parlare di Stato islamico è un modo di aderire alla propaganda di questo gruppo terroristico. Dopo ogni attentato, ci rendiamo inconsapevolmente complici della propaganda dell'Is. E invece non dovremmo mai dimenticarci che l'Is è un movimento ultraviolento, senza dottrina politica, che regna attraverso il terrore. Se si vuol fare un paragone, si pensi alle sette millenariste o degli anarchici di fine Ottocento».
Il ministro degli Esteri, Laurent Fabius, ha anche chiesto ai giornalisti di non usare più l'espressione 'terroristi islamici' per non creare confusione con l'Islam. Cosa ne pensa?
«È politicamente corretto, ma non possiamo ignorare che questi gruppi rivendicano l'appartenenza all'Islam. Di sicuro dobbiamo chiamarli terroristi e non militanti o combattenti islamici. L'importante è non commettere l'errore di chiedere a tutti i musulmani di scusarsi per gli attentati o le violenze dei terroristi, favorendo così la perversa motivazione dell'Is».
Eppure davanti all'orrore senza fine, che concilia una barbarie medioevale con la tecnologia del web, è possibile trovare una definizione?
«Le analogie storiche non funzionano. Ci troviamo davanti a una situazione nuova e senza precedenti. L'Is veicola un'utopia apocalittica tipica della nostra epoca. Un'utopia che affascina una gioventù nichilista anche in Occidente, costruendosi su un eroismo in negativo un orizzonte suicida. I terroristi di Parigi e Copenaghen non volevano vivere, si convertono non a una religione ma a una sorta di narrazione come fossero Superoi del Male».
Con strumenti di propaganda sofisticati e moderni?
«È più che altro una rappresentazione dentro al nostro tempo. Una propaganda esibizionistica attraverso l'azione. Non c'è costruzione ideologica. L'Is offre soltanto un immaginario politico, un mito come quello del Califfato senza un programma concreto e che può svilupparsi solo nella violenza permanente».
(trad. it. Anais Ginori)